Un insegnante di liceo partecipa a Paratissima

 Raccontare l’adolescenza attraverso la fotografia in bianco e nero
 “Ho deciso di raccontare attraverso delle immagini le contraddizioni e le conflittualità che si manifestano in questo periodo nella vita dei ragazzi. In dieci immagini non si può rappresentare un mondo così variegato, ho cercato di sintetizzare e trasmettere emozioni attraverso la fotografia”. Queste le parole del professore di educazione fisica del liceo classico V. Alfieri di Torino, Roberto Tartaglino, il quale si è messo in gioco prendendo parte a Paratissima, la vetrina di opere d’arte contemporanea che nella stessa città promuove il lavoro di artisti emergenti. L’evento si è svolto dall’1 al 5 novembre in Via Asti 22. Qui l’insegnante ha mostrato al pubblico la sua raccolta fotografica intitolata “Adolescenza”. Di seguito la sua intervista. 
Perché ha deciso di partecipare a Paratissima?
Perché rappresenta uno stimolo al miglioramento, una sfida con me stesso e un progetto di crescita. Cos' è per lei la fotografia? 
C’è una frase del fotografo Walker Evans che mi ha colpito moltissimo. Dice: “L’artista è un collezionista di immagini che raccoglie le cose con gli occhi. Il segreto della fotografia è che la macchina assume il carattere e la personalità di chi la tiene in mano”. La fotografia è un modo per trasmettere delle emozioni.
 Perché ha scelto di fotografare in bianco e nero? Il bianco e nero permette di rinforzare un concetto, di rendere più chiaro, evidente e comprensibile il concetto che vuoi trasmettere attraverso l’immagine. Il bianco e nero è essenziale, dà forza all’immagine.
 Cosa rappresentavano le sue prime fotografie? 
Ho iniziato fotografando le mie figlie, poi sono passato ai paesaggi, al notturno, ai ritratti ed infine al bianco e nero. Si è trattato di una graduale evoluzione da soggetti famigliari ad un progetto professionale.
 Perché ha scelto i ragazzi come soggetto delle sue opere? È quello che io conosco maggiormente, perché in questi 33 anni di lavoro ho visto e ho avuto occasione di conoscere situazioni molto difficili e penso che le famiglie debbano essere pronte ad affrontarlo, conoscere le dinamiche e prepararsi a questo tipo di situazioni. Il lavoro del papà è un lavoro i cui non si ha una preparazione e ci si trova ad affrontare situazioni che non si conoscono. Sbagliando si cerca di far fronte a queste problematiche. 
In base a cosa sceglie i suoi soggetti? Cerco di capire se c’è un interesse anche da parte dell’allievo. Se è così, cerco di coinvolgerlo nel progetto, lavorando in modo molto collaborativo: io posso avere una visione, un’idea del progetto, ma devo cercare di trovare una connessione con la visione dell’allievo.  
Qual è stato il suo primo progetto? Un progetto fotografico sulla storia d’amore di due ragazze raccontata come quella di due “individui”, indipendentemente dal fatto che fossero due donne. Le ho fotografate senza alcun pregiudizio o preconcetto. 
Ha già in mente il suo prossimo lavoro? Sto pensando a due progetti: uno riguarderà la danze e il movimento, l’altro le finestre delle case di sera quando vengono illuminate; è interessante pensare a cosa potrebbero celare quelle finestre, se armonia o difficoltà dal punto di vista sociale. È un’idea che si sta concretizzando ma richiede un po’ di tempo.
Cosa cerca di insegnare ogni giorno ai suoi allievi? Non so se posso insegnare qualcosa, nel mio piccolo cerco di essere coerente con le mie idee, col mio ruolo di insegante. Cerco la coerenza nel comportamento. Un insegnante deve essere sempre professionale ed attento alle esigenze dei ragazzi.  
Quale crede sia la via per migliorarsi? Credo che l’unica via per migliorarsi sia quella di mettersi quotidianamente in gioco. Bisognerebbe cercare costantemente il miglioramento attraverso delle piccole sfide quotidiane, senza mai raggiungere quel senso di appagamento che limita, che non permette di crescere. 
 

Nina Luviè e Martina Gizzo 1^C

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